"Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza." Antonio Gramsci

giovedì 31 gennaio 2008

Se anche i francesi si arrendono ai rifiuti di Napoli




di Maurizio Ricci


Chi pensa che Napoli, sepolta dalla spazzatura, stia scivolando nel Terzo Mondo è un ottimista istupidito dalle illusioni.


di Maurizio Ricci

Una delle più grandi città italiane,
sotto il peso di tonnellate di rifiuti, è, in realtà, già sprofondata al di sotto del Quarto Mondo, quella costellazione di megalopoli-baraccopoli che, a colpi di 10-20 milioni di abitanti ognuna, sfigurano, i paesi ad urbanizzazione esplosiva dell'Africa, dell'America latina, da Lagos a Calcutta, da San Paolo a Douala.

In queste città, con il loro contorno di slum e favelas, fogne a cielo aperto, strade precarie, infeastrutture fatiscenti, la raccolta ed il trattamento dei rifiuti sono compiti difficili, spesso proibitivi. Però si fanno, a volte meglio, a volte peggio, ma esistono le competenze tecniche e le volontà politiche per gestire i rifiuti.

A napoli no, Napoli è più in là, al di là del Quarto Mondo, ormai in un buco nero su cui manca solo il cartello : irrecuperabile. Lo certifica la notizia che l'asta per il termovalorizzatore di Acerra (ricordiamo ai nostri lettori che l'uso del termine 'termovalorizzatore' è stato vietato dall'Ue perchè fuorviante: meglio 'inceneritore', ma il giornalista sembra ignorarlo; n.d.m.), attorno a cui ruota tutta la strategia di trattamento dell'immondizia campana, è andata anocra una volta deserta. Hanno rinunciato i bresciani ed i milanesi di A2A, il colosso lombardo dei servizi pubblici locali.

Ma, sopratutto, ha sbattuto la porta un gigante mondiale come Veolia. Il nome è nuovo, ma Veolia non è altro che l'ex Vivendi, a sua volta ex Compagnie Générale des Eaux. Dalla gestione delle acque è passata recentemente all'industria dei rifiuti, con un giro d'affari di 6,6 miliardi di euro nel 2005. Tratta, ogni anno, 53 milioni di tonnellate di spazzatura, per conto di quasi mezzo milione di clienti, grazie ad oltre 80 mila dipendenti. In 35 Paesi. Fra i quali ci sono Germania, Australia, Nuova Zelanda, Francia.

Ma Veolia non tratta solo l'immondizia delle graziose villette di Wellington e Sidney o dei megaquartieri di edilizia popolare di Parigi o Berlino. Veolia lo fa anche nel pieno del Quarto Mondo, nelle megalopoli-baraccopoli dell'India, del Brasile, della Colombia, dell'Egitto. Accetta ogni giorno la sfida di San Paolo, del Cairo, dell'inferno urbano di Calcutta. Ha appena deciso di poter affrontare anche le difficoltà dell'Africa equatoriale, sbarcando in Camerun, a Douala e Yaoundé.
E' a Napoli che ha gettato la spugna: troppo difficile.

Troppo difficile, perché? I francesi hanno avuto la cortesia di spiegarlo. Non per motivi tecnici. E neanche economici.
Perché mancano le condizioni politiche, hanno scritto. In buona sostanza, non ritengono affidabili le garanzie che forniscono politici ed istituzioni. Il governo in crisi, certo, ma anche gli organi locali. E' l'atto d'accusa più bruciante perché pone al centro della crisi dell'immondizia gli uomini, prima che le circostanze.

Ma è difficile dare torto ai dirigenti di Veolia.
Ieri, mentre il termovalorizzatore di Acerra ripiombava nel limbo delle imprese impossibili (chi c'è, dove non osa inoltrarsi Veolia?), la classe politica napoletana si mobilitava per un consiglio comunale che deve abbozzare un piano per la raccolta differenziata dei rifiuti. Tutti i protagonisti erano impegnati a rimpallarsi le responsabilità. E il governatore Bassolino, sul suo blog, si complimentava per gli esperimenti di raccolta differenziata compiuti dagli ambientalisti in un quartiere di Napoli, scorgendovi un importante indicazione per il futuro. Quale futuro, governatore? Il problema è qui, ora, subito.

Paradossalmente, quando guardiamo crescere le montagne di spazzatura di Napoli, ne vediamo la parte migliore. L'ultima. Quella appena arrivata. Lì sotto, c'è ancora il primo sacchetto, fermo sal 29 dicembre. Sepolto da un mese, fra milioni di altri sacchetti, tutti potenzialmente una bomba biologica. Presto -sopratutto visti i tempi della crisi della spazzatura napoletana- arriverà il caldo. Ed allora, l'emergenza può deflagrare.


fonte: laRepubblica di oggi

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Seconda tappa della procedura di infrazione prima del deferimento alla Corte di Giustizia
Marigliano, dopo una mattinata e un pomeriggio si è conclusa la protesta

Rifiuti, nuovo richiamo Ue all'Italia;
abbandonati i blocchi nel napoletano





BRUXELLES - L'Italia ha un mese di tempo per risolvere il problema rifiuti. La Commissione europea ha inviato un parere motivato, seconda tappa della procedura di infrazione, per la situazione in Campania.
L'iniziativa è l'ultimo passaggio prima del deferimento del caso alla Corte di Giustizia europea. Normalmente Bruxelles concede due mesi per rispondere ai suoi rilievi, ma il caso è considerato molto grave: la risposta va quindi data entro trenta giorni.

"La situazione in Campania è intollerabile e capisco molto bene la frustrazione dei residenti che temono per la loro salute. E' essenziale - ha detto il commissario all'ambiente Stravros Dimas - che le autorità italiane non solo prendano le misure efficaci per risolvere l'attuale emergenza, come stanno già facendo, ma anche che realizzino l'infrastruttura di gestione dei rifiuti necessaria per prevedere una soluzione durabile ai problemi che risalgono già a più di 10 anni".

Intanto, dopo una mattinata e un pomeriggio di protesta, i manifestanti hanno abbandonato il blocco sulla A30 Caserta-Salerno in direzione di Caserta. Via anche il blocco all'ingresso dell'Asi e quello davanti all'ingresso della discarica di Marigliano in via Bosco a Polvica. Permane, invece, un presidio davanti a un altro ingresso di via Bosco. In giornata, a Napoli, in via Gianturco, tre persone sono salite sul tetto della sede della Municipalità di Poggioreale minacciando di lanciarsi nel vuoto se non fossero state ricevute da un rappresentante del commissariato. Questa mattina, intanto, la riunione del consiglio municipale è saltata per mancanza del numero legale. Decine di persone hanno bloccato il lungomare di via Napoli a Pozzuoli. I manifestanti protestavano contro la mancata raccolta della spazzatura, che non viene eseguita da almeno 10 giorni.

Sul versante istituzionale, è iniziato intanto l'incontro fra il commissario di governo per l'emergenza rifiuti in Campania, Gianni De Gennaro e i sindaci del Nolano, giunti in rappresentanza dei cittadini che da giorni si oppongono all'apertura di un sito di trasferenza in località Boscofangone, nel comune di Marigliano.

(31 gennaio 2008)


fonte: http://www.repubblica.it/2008/01/sezioni/cronaca/rifiuti-5/ue-altro-avviso/ue-altro-avviso.html

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E IL PERÙ SI VENDE L’AMAZZONIA



di Gennaro Carotenuto
(30 gennaio 2008)


Il presidente peruviano Alan García, la scorsa settimana in visita in Spagna, ha annunciato che vuole vendere alle multinazionali del legname 8 milioni di ettari di foresta primaria in Amazzonia.

Secondo Alan García solo con la privatizzazione la foresta potrà produrre “ossigeno, legname e lavoro in beneficio di tutti i peruviani”. Ma per dirlo è dovuto andare ad annunciarlo a Madrid, nella cosiddetta madre patria dove ha trovato l’appoggio convinto delle multinazionali del legname. Queste finalmente vedrebbero superare i limiti sanciti dalle leggi degli anni ’70, che davano le terre solo in concessione e non in vendita, e solo in piccoli lotti di modo di modo che lo stato potesse controllarne l’uso e favorire lo sfruttamento artigianale delle risorse della selva amazzonica. Tra queste vi è il gruppo Romero, uno dei principali nel paese, con capitali cileni, e che punta con la nuova legge ad appropriarsi di almeno due milioni di ettari di foresta.

Alan García, uno degli ultimi presidenti neoliberali dell’America latina, eletto nel luglio del 2006 e con indici di gradimento in picchiata, continua a puntare sugli investimenti stranieri, siano come siano, per risalire la china. Ha firmato il Trattato di Libero Commercio con gli Stati Uniti, quindi con il Canada e ora sta cercando di firmarne un terzo con l’Unione Europea. Proprio a Madrid ha accusato i governi di Ecuador e Bolivia di tentare di impedire l’accordo. Oggi, se il regime di Alberto Fujimori (1990-2000), aveva svenduto e privatizzato tutti i beni dello stato, ad Alan García restano da vendere i beni naturali, come la foresta primaria parte del principale polmone verde del pianeta.

Il progetto di privatizzazione dell’Amazzonia peruviana sta comunque trovando forte opposizione da parte delle popolazioni locali, comunità indigene e contadine che si considerano non solo escluse, ma addirittura a rischio di estinzione in un modello industriale di sfruttamento della foresta quale quello neoliberale voluto da Alan García. Gli abitanti dell’Amazzonia peruviana convivono da sempre con un modello estensivo di economia forestale che coincide con lunghi periodi di riposo della selva. È il modello che ha preservato fino ad oggi la foresta primaria evitandone lo sfruttamento intensivo che caratterizza vaste zone dell’Amazzonia brasiliana.


fonte: http://www.giannimina-latinoamerica.it/visualizzaNotizia.php?idnotizia=109


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Battaglione Rommel



Elettra Deiana*, 31 gennaio 2008, 17:24

Le immagini di un mezzo corazzato dell'esercito italiano colpito da una mina nel deserto dell'Afghanistan, e pubblicate in Italia da L'Espresso, svelano un particolare inquietante: i nostri soldati vanno in missione con la palma dell'Afrika Korps hitleriano dipinta sulle jeep. Immediato l'intervento del ministro Parisi, ma rimane aperto il problema della formazione culturale dei militari


Il ministro Parisi è intervenuto tempestivamente e fermamente per fare chiarezza sui militari italiani travestiti tra le montagne dell'Hindukush da seguaci delle avventure naziste. Non possiamo che esprimere il nostro apprezzamento per la pronta iniziativa del ministro, oltre che ringraziare un'altra volta quei mezzi di informazione - in questo caso l'Espresso - che non si accontentano delle veline e frugano nelle vicende del mondo, soprattutto in quelle riguardanti conflitti lontani, dimenticati, sottovalutati.

Mezzi corazzati italiani, impegnati in Afghanistan, decorati con lo stemma degli Africa Korps, i reparti nazisti guidati da Rommel fino alle porte del Cairo, durante le terribile seconda guerra mondiale: anche questo si nasconde tra le pieghe e le zone d'ombra della missione italiana a Kabul, sempre in bilico tra dichiarazioni ufficiali di adeguamento al mandato parlamentare - "missione di pace" ci ripetono i ministri Parisi e D'Alema - e notizie allarmanti sul coinvolgimento dei nostri contingenti in azioni di vero e proprio combattimento.
Sarà il caso finalmente di fare chiarezza sulla vera natura della missione, in occasione dell'ennesima, imminente discussione sul decreto di rifinanziamento.

Ma lo stemma nazista disegnato su mezzi militari contrassegnati dalla bandiera italiana va oltre ogni problema di valutazione politica: delinea l'esistenza all'interno delle forze armate di sacche culturali impregnate di razzismo e suggestioni coloniali, di disprezzo quando non di odio verso le popolazioni alle quali si dice di voler portare l'aiuto del peace keeping e del nation building. E anche di ignoranza, forse di aperta ostilità nei confronti dei limpidi principi di pace, democrazia, solidarietà internazionale che la Costituzione repubblicana assegna alle Forze armate e che costituiscono la base di legittimazione della loro stessa esistenza.

Il fascino fascistoide delle imprese coloniali, la voglia di esibire simboli in cui si mischiano il richiamo a quei miti palingenetici e la mistica guerriera che ne derivò non è certo peculiarità della nostra storia. Non siamo soli in Europa, se questo ci può consolare. Ma ovviamente non può né deve. In Germania un anno fa accadde la stessa cosa, il ministro della Difesa aprì un'inchiesta e sospese gli autori del gesto. C'è da augurarsi che la successione dei fatti, dopo l'iniziativa del ministro Parisi, porti anche in Italia a conclusioni analoghe.
Ma rimane aperto il problema della formazione culturale e istituzionale delle Forze armate, della responsabilità di gerarchie che evidentemente non hanno occhi per vedere e della complicità degli altri militari che magari non condividono ma non hanno cuore per contrastare. Ai militari impegnati in missioni internazionali non serve soltanto la formazione professionale. Serve anche di essere selezionati in base a rigorosi criteri di attitudine democratica e di amore per la Costituzione. Sarà il caso di pensarci.

*parlamentare Prc


fonte: http://www.aprileonline.info/notizia.php?id=6152

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Er monnezza (da Megachip)

La storia d’Italia in fabbrica

di Pasquale Colizzi



Per capire quanto dirompente e lontana dall’immaginario fu la nascita delle grandi fabbriche nel nostro paese, quelle che accompagnarono il boom del dopoguerra e cambiarono per sempre i gesti, le ambizioni, persino l’aspetto di milioni di italiani, sarebbe bastata la figura quel ragazzino calabrese pescato tra le immagini di una delle tante inchieste che la Rai di allora conduceva. E che ha smesso di fare negli anni ottanta, testimoni gli archivi. Raccontava di essere appena arrivato a Milano e che lo avevano preso in una officina per montare motori. In paese invece come lavoro raccoglieva gelsomini per i profumi. Quel volto deciso, timido ma fiero, è uno dei centinaia che scorrono nella piccola, emozionante storia d’Italia incarnata dagli operai dell’industria che Francesca Comencini ha montato insieme a Massimo Fiocchi utilizzando l’ampio materiale delle teche Rai. Un doc che ha riscaldato il pubblico di Torino vincendo il Premio Cipputi e che la regista ha presentato in una serata all'Auditorium di via della Conciliazione. Vi consigliamo di non perderlo nel passaggio su RaiTre giovedì 14 febbraio, in seconda serata.



Bellissime le parole che ha usato la regista per inquadrare In fabbrica: «Ho cercato di non essere animata dalla nostalgia, che secondo me è un’ossessione, un rovello, un sentimento dominante nel nostro paese. La nostalgia è un modo di scagliare il passato contro il presente. Ci consente di sfuggire al dovere di pensare il nostro tempo, di agirlo». E infatti c’è una sensazione di concretezza, di grande etica del lavoro, di consapevolezza e voglia di progresso in questa lunga carrellata che parte dagli anni cinquanta, con le immagini delle prime transumanze sud-nord e arriva ai nostri giorni, nello stabilimento d’eccellenza della Brembo, con le parole di un operaio di colore che testimonia e spiega perchè i fenomeni migratori esisteranno sempre. Gesti, abitudini, percorsi personali, vezzi dei compagni di lavoro catturati spesso da grandi registi (uno per tutti, Ugo Gregoretti) raccontano più dei numeri cosa significò ricostruire il paese con il sacrificio delle braccia e cosa sia ancora adesso, nonostante certa latitanza dei media, al di là del parolaio politico su astruse architetture parlamentari.


Enrico Berlinguer davanti ai cancelli della Fiat

In un continuo parallelo tra gli esterni assolati del sud e gli interni incandescenti, fumosi o tuonanti degli impianti industriali delle città del nord, il doc mostra come lo spirito nazionale si fece anche grazie ai luoghi di lavoro. Perché negli anni cinquanta i “terroni” arrivavano come marziani in ambienti sconosciuti e venivano risucchiati nella catena di montaggio. Ma all’interno delle fabbriche trovavano colleghi “polentoni” che pativano le stesse condizioni. Fu saldando lo scontento per le reciproche rivendicazioni e con grazie al collante sindacale che nacque una piena coscienza di classe: diritto alla casa (c’è chi dormiva sistematicamente in stazione e la mattina timbrava il cartellino), all’assistenza sanitaria, alla sicurezza sul luogo di lavoro, il rifiuto delle mansioni ripetitive per una visione responsabile e produttiva della propria attività. La disoccupazione al 3% del 1962, il dato trionfante di un’economia orgogliosa del proprio sviluppo, viene così contestualizzato.


All'interno della Brembo

L’evoluzione della Fiat, la fabbrica che può sintetizzare la figura degli altri grandi impianti come Pirelli, Olivetti, Italsider, scandisce le tappe dell’ascesa di un sentimento di comunanza e unità operaia e il suo futuro declino: il primo grande sciopero del ’62 davanti a Mirafiori, con riprese effettuate dall’interno degli uffici e poi l’autunno caldo del ’69, la consapevolezza di contare perché ci si è contati, segnò il punto di avanzamento massimo di quelle battaglie. La cocente sconfitta sindacale dell’80, con l’accettazione del piano di licenziamento per 14mila operai (nel ’69 erano stati 61) e la “contromarcia” dei 40mila colletti bianchi sancì la fine della centralità della questione operaia all’interno di un paese che stava mutando il suo modo di lavorare. Il doc di Francesca Comencini - che nella sua essenzialità e nella giustezza degli accostamenti è un piccolo gioiello – si chiude rilanciando più questioni. Una, fondante, riguarda la centralità della vertenza lavoro in fabbrica: gli operai, che sono ancora tanti, hanno voglia di buona occupazione, di un ambiente sicuro e di una missione da svolgere con orgoglio e soddisfazione come testimoniavano quelli della Brembo. Sull’altro fronte ci sono i media, in primo luogo la Rai col suo ruolo di servizio: negli anni sessanta veniva contestata durante i cortei e qualcuno urlava: "Non ci sono soltanto le Kessler, parlate anche di noi". L’invito a rimettersi al passo del paese reale è ancora valido.

pasquale.colizzi@fastwebnet.it


Pubblicato il: 31.01.08
Modificato il: 31.01.08 alle ore 13.14

fonte: http://www.unita.it/view.asp?idContent=72545

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"Sperma dal midollo femminile". Per far figli il sesso sarà un optional?


Mai più così?
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Pubblicato sul New Scientist uno studio inglese. E il passo successivo sarà di creare ovuli femminili dal midollo maschile.

Roma, 31 gennaio 2008 - Gli uomini? Un optional nel prossimo futuro. O al massimo relegati al ruolo di persone 'di compagnià, comunque non indispensabili per la riproduzione. Questo uno degli scenari delineati dalla ricerca condotta dagli scienziati britannici dell'università di Newcastle upon Tyne, che si dicono pronti a tramutare le cellule del midollo osseo femminile in sperma.

Di fatto estromettendo il maschio dal processo riproduttivo. Una sorte che però avvantaggerebbe le donne non di molto, perchè il passo successivo potrebbe essere quello di ottenere il risultato speculare negli uomini. Cioè ovuli femminili a partire dal midollo osseo maschile. È la rivista New Scientist a illustrare come si potrà arrivare a quell'obiettivo. Aggiungendo che però le donne potranno ottenere solo bambine. Perchè nello sperma creato a partire dal loro midollo mancherebbe comunque il cromosoma Y.


Il risultato possibile, che gli scienziati assicurano servirà per combattere i problemi di infertilità, potrebbe però essere usato in tanti altri modi. Per esempio per consentire alle coppie omosessuali, sia femminili che maschili, di avere figli con il proprio Dna. Tecnicamente, rivelano gli autori dello studio che hanno avanzato richiesta per proseguire la ricerca, già avviata in modo pionieristico sui topi di laboratorio, «si parte dalle staminali del midollo osseo di un animale femmina, capaci di differenziarsi in molte altre cellule. E con l'ausilio di sostanze chimiche e vitamine si spingono le staminali a diventare cellule spermatiche».

Il biologo che ha messo a punto la tecnica, Karim Nayernia, è convinto di poter «creare entro due anni sperma 'femminilè nei primissimi stadi cellulari. Mentre per ottenere cellule spermatiche mature, capaci di fertilizzare un ovulo, ci vorranno tre anni in più». Secondo gli scienziati la tecnica, una volta messa a punto, potrebbe anche consentire il prelievo di staminali da donatori adulti senza incorrere nei problemi etici legati all'utilizzo di embrioni.

Ma la corsa per trovare una cura all'infertilità è globale, non solo britannica. A San Francisco l'analista Greg Aharonian, che si definisce subito «un provocatore», vuole brevettare la tecnica che consentirebbe di ottenere sperma femminile e ovuli maschili. «Così cadrà la presunzione di superiorità del matrimonio eterosessuale fondata sulla capacità di procreare», dice con l'intento di far discutere.

Ma la scienza, nei laboratori e sugli animali, continua a cercare soluzioni. Tanto che gli scienziati brasiliani del Butant Institute hanno detto di essere riusciti a creare, a partire da cellule staminali embrionali di topi maschi, sia sperma che ovuli. E ora stanno cercando di raggiungere lo stesso obiettivo a partire dalle cellule della pelle.

A parte le applicazioni possibilmente controverse di queste ricerche, gli scienziati affermano con forza che «la possibilità di avere cellule uovo o spermatiche a partire da tessuti adulti potrebbero servire nel caso dei malati di cancro diventati infertili da giovani per via della radioterapia. Oltre a poter offrire soluzioni al problema dell'infertilità che ormai riguarda una coppia su sei».


E alle possibili critiche rispondono che «non è il caso di agitare spauracchi visto che si tratta di esperimenti nelle loro prime fasi. E quindi prima di arrivare a risultati concreti ci vorranno anni». Anche perchè, però, i topi creati nei laboratori dell'università di Newcastle, crescendo soffrono di seri problemi di salute. Dunque, sostiene Robin Lovell-Badge, del National Institute for Medical research di Londra, «in questo caso l'orologio della scienza va spostato in avanti almeno di 10 anni».


fonte: http://qn.quotidiano.net/2008/01/31/62388-sperma_midollo_femminile.shtml

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L'Ue boccia la Gasparri: «Regime televisivo fuori legge»

Francesco Di Stefano Europa 7 tv
Francesco Di Stefano

Dopo anni di sentenze arriva da Bruxelles la parola definitiva sulle frequenze vinte da Europa 7 e usate da Rete 4. La Corte europea di giustizia ha condannato infatti il sistema italiano di assegnazione delle frequenze per le attività di trasmissione televisiva, nella sentenza sulla causa che opponeva l'emittente privata Centro Europa 7 al Ministero delle Comunicazioni. Secondo la Corte il regime di assegnazione delle frequenze non rispetta il principio della libera prestazione dei servizi e non segue criteri di selezione obiettivi, trasparenti, non discriminatori e proporzionati.

La sentenza coinvolge direttamente Mediaset e la sua Rete 4 che da anni trasmette utilizzando, abusivamente stando a quanto stabilito dalla Corte, le frequenze che nel 1999 erano state acquistate ad un'asta dall'emittente Centro Europa 7. In una nota l'azienda televisiva di proprietà di Berlusconi sostiene che la sentenza «non può comportare alcuna conseguenza sull'utilizzo delle frequenze nelle disponibilità delle reti Mediaset», puntando sul fatto che «il giudizio cui la sentenza si riferisce riguarda esclusivamente una domanda di risarcimento danni proposta da Europa 7 contro lo Stato Italiano». Sulla vicenda, in realtà, era intervenuta anche la Corte costituzionale italiana che aveva fissato al 31 dicembre 2003 la data ultima entro la quale la rete berlusconiana avrebbe dovuto lasciare le frequenze. Ma un provvidenziale decreto legge preparato dal duo Gasparri-Berlusconi bloccò tutto.

«Sono soddisfattissimo», ha commentato Francesco Di Stefano, patron di Europa7, «Ma anche amareggiato perché ci è voluto così tanto tempo per una cosa chiara. Comunque siamo fiduciosi e lo siamo sempre stati sempre stati: ecco perché abbiamo resistito tutti questi anni». Ma la faccenda si fa seria per Mediaset. Per Ottavio Grandinetti, il legale che assiste Di Stefano, ora si apre la strada sia dell'assegnazione di frequenze che di un risarcimento dei danni da parte dello Stato italiano. «Non è vero, come affermato da Mediaset in una nota, che in gioco non c'è la riassegnazione di frequenze televisive. Mediaset dice una cosa doppiamente sbagliata - afferma il legale di Europa 7 - Prima di tutto non è vero che la domanda di Europa 7 è solo di risarcimento danni. Noi vogliamo le frequenze e in più il risarcimento. Il secondo motivo di errore è il fatto che non siamo né Mediaset né noi né la Corte di giustizia a decidere, ma il Consiglio di Stato. E questa sentenza europea peserà, eccome. Noi siamo andati davanti al Consiglio di Stato per far condannare l'Italia a darci una rete nazionale. Il Consiglio ha ritenuto che le giustificazioni addotte dal Governo per negare a Centro Europa 7 la consegna delle frequenze ponessero un problema di compatibilità di principio con le leggi comunitarie. E siccome questo accertamento lo fa la Corte di Giustizia ha rimandato tutto all'Europa. Che, alla fine, ci ha dato ragione».

Si delineano anche i passi futuri. «Ora la questione torna davanti al Consiglio di Stato, che deciderà in un senso o nell'altro. Se ci danno le frequenze il danno è quantificato in centinaia di milioni di euro... Avevamo detto 600 milioni ma è passato del tempo, quindi ora bisogna ricalcolare tutto. Invece se dovesse dare ragione a Mediaset, che dice che esiste solo la possibilità di un risarcimento, allora la richiesta è quantificabile in miliardi di euro».

Ora però anche il mondo politico chiede con forza di restituire le frequenze a Europa 7. Lo dicono Ferrero, Cuillo, Giulietti e Tana de Zulueta. «Finalmente si può portare un po’ di legalità», ha detto il ministro per la Solidarietà sociale, Paolo Ferrero. «Adesso bisogna consentire a Di Stefano e ad Europa7 di trasmettere», ha detto il deputato del Pd Giuseppe Giulietti. «Sarebbe davvero grave se qualcuno stesse già pensando ad una nuova legge porcata, bisognerebbe piuttosto accettare -prosegue il deputato- i rilievi della Corte di Strasburgo per superare il duopolio. C'è per caso nel centro destra qualcuno che voglia fare qualche passo in questa direzione? La legge Gentiloni cercava di rimediare in qualche modo a questa situazione, ma devo con dispiacere constatare che fin dall'inizio nel centro sinistra hanno lavorato dei basisti che ne hanno impedito l'approvazione». «Dopo più di 8 anni la Corte di giustizia europea indica a parole chiare la strada per uscire dall'anomalia italiana – dice Roberto Cuillo, del Partito Democratico -. Europa 7 aveva e mantiene il diritto a trasmettere e questo diritto le deve essere restituito». «La sentenza della Corte europea di giustizia ha certificato inequivocabilmente che la legge Gasparri viola il diritto comunitario e che ai danni di Europa 7 vi è stata una espropriazione di diritti acquisiti». Lo dichiara, in una nota, Tana de Zulueta, presidente del Comitato per un’AltraTv.


Un percorso lungo 8 anni

La sentenza fa riferimento ad una causa intentata da Centro Europa 7, società attiva nel settore delle trasmissioni radiotelevisive che nel 1999 aveva ottenuto dalle competenti autorità italiane un'autorizzazione a trasmettere a livello nazionale in tecnica analogica, ma non è mai stata in grado di trasmettere, in mancanza di assegnazione di radiofrequenze. Una domanda della Centro Europa 7 diretta all'accertamento del suo diritto ad ottenere l'assegnazione di frequenze, nonché il risarcimento del danno subito, è stata respinta dal giudice amministrativo.

Il Consiglio di Stato, dinanzi al quale la causa pende attualmente, ha quindi interrogato la Corte di giustizia delle Comunità europee sull'interpretazione delle disposizioni di diritto comunitario relative ai criteri di assegnazione di radiofrequenze al fine di operare sul mercato delle trasmissioni radiotelevisive. Il giudice del rinvio ha sottolineato che in Italia il piano nazionale di assegnazione delle frequenze non è mai stato attuato per ragioni essenzialmente normative, che hanno consentito agli occupanti di fatto delle frequenze di continuare le loro trasmissioni, nonostante i diritti dei nuovi titolari di concessioni. Le leggi succedutesi, che hanno perpetuato un regime transitorio, hanno avuto l'effetto di non liberare le frequenze destinate ad essere assegnate ai titolari di concessioni in tecnica analogica e di impedire ad altri operatori di partecipare alla sperimentazione della televisione digitale.

Nella sentenza pronunciata oggi, la Corte rileva che l'applicazione in successione dei regimi transitori strutturati dalla normativa nazionale a favore delle reti esistenti «ha avuto l'effetto di impedire l'accesso al mercato degli operatori privi di radiofrequenze». Questo effetto restrittivo è stato consolidato «dall'autorizzazione generale, a favore delle sole reti esistenti, ad operare sul mercato dei servizi radiotrasmessi». Per i giudici della Corte, «tali regimi hanno avuto l'effetto di cristallizzare le strutture del mercato nazionale e di proteggere la posizione degli operatori nazionali.

Il limite al numero degli operatori sul territorio nazionale potrebbe essere giustificato da obiettivi d'interesse generale, ma - contestano i giudici - esso dovrebbe essere organizzato sulla base di «criteri obiettivi, trasparenti, non discriminatori e proporzionati», così come stabilisce il nuovo quadro normativo comune per i servizi di comunicazione elettronica. Di conseguenza, la Corte conclude che l'assegnazione in esclusiva e senza limiti di tempo delle frequenze ad un numero limitato di operatori esistenti, senza tener conto dei criteri citati, è contraria ai principi del Trattato sulla libera prestazione dei servizi.


Pubblicato il: 31.01.08
Modificato il: 31.01.08 alle ore 18.41

fonte: http://www.unita.it/view.asp?idContent=72539

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Baccini e Tabacci lasciano l'Udc, al Centro nasce la Rosa Bianca

Bruno Tabacci

I due senatori centristi, come annunciato, lanciano il nuovo soggetto politico
"Conseguenza del cambiamento di linea adottato da Casini in modo strumentale"


ROMA - La Rosa Bianca "prende il largo". L'aveva detto Bruno Tabacci il giorno prima che il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano conferisse l'incarico a Franco Marini. A ventiquattro ore di distanza l'ipotesi diventa soggetto politico. Lo stesso senatore Udc e il collega centrista, e vicepresidente del Sernato, Mario Baccini lasciano il partito. E annunciano, in una nota congiunta, la volontà "di costruire un'alternativa al Centro, al bipolarismo muscolare, per rispondere alle esigenze e alle aspettative di tanti cittadini delusi da questa politica". Una Rosa Bianca, "un fiore offerto alla speranza degli italiani". La "forma intermedia" di cui aveva parlato Savino Pezzotta e che, alla luce delle decisioni prese da Napolitano, apre nuovi scenari sul cammino che il presidente del Senato si prepara a percorrere.

"Una cosa inutile, di cui è inutile parlare", dice in serata Pier Ferdinando Casini. Mentre il leader dell'Udc parla a Porta a porta, i due parlamentari diffondono la nota. Puntano l'indice contro "il cambiamento di linea" adottato dal leader del partito "in modo assolutamente strumentale da novembre a oggi, in completo dissenso dal mandato congressuale, da lui e dal segretario Cesa". E manifestano l'esigenza di "trarne le conseguenze". La linea è quella del congresso 2007, fatta propria dall'85% del partito e sintetizzata all'epoca dallo stesso Cesa: "Superare questo bipolarismo malato, rafforzando l'area centrale e moderata del Paese che noi rappresentiamo certamente non da soli ma, spesso, più e meglio di altri".

Come il Pd di Walter Veltroni, la nuova formazione dovrebbe andare a battesimo lunedì a Torino. Dove a discutere di questione morale, "caste" e futuro del Paese saranno proprio Tabacci, Baccini, Pezzotta e Antonio Di Pietro. Quest'ultimo, ancora cauto. "Prima bisogna capire chi c'è e che cosa è - dice - a scatola chiusa non voto più niente, Italia dei valori è single, alle elezioni va da sola".

Ma Baccini, l'unico dei venti senatori centristi a non firmare il documento sulla crisi e sulla necessità di andare a elezioni anticipate, insiste: i tempi sono stretti per mettere a punto un programma insieme ma l'avvicinamento con Di Pietro c'è stato. "Parteciperemo alle prossime elezioni autonomamente. Intanto partiamo, speriamo che gli altri ci seguano".

Nel partito, l'uscita del vicepresidente del Senato era stata derubricata a una questione interna. Di fronte al primo smarcamento di Baccini, che si era dichiarato favorevole all'ipotesi di un governo guidato da Marini, Casini aveva sgombrato il terreno dagli equivoci: "La nostra posizione è lineare e condivisa dal 95% del partito", aveva detto, dopo che già Cesa aveva ribadito la linea "chiarissima" del partito.

(30 gennaio 2008)

fonte: http://www.repubblica.it/2008/01/sezioni/politica/crisi-governo-4/baccini-tabacci/baccini-tabacci.html

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mercoledì 30 gennaio 2008

Rifiuti: proteste, blocchi e ospedali a rischio

De Gennaro
Gianni De Gennaro

Troppi rifiuti accumulati vicino agli ospedali di Polla e di Sant'Arsenio. Ecco perchè il direttore sanitario dei due nosocomi, con una nota, ha chiesto al competente Consorzio Rifiuti Bacino Salerno 3 di provvedere urgentemente al ritiro dei rifiuti urbani prodotti presso i due ospedali del Vallo di Diano.

Il direttore sanitario ha motivato la sua richiesta «in quanto i rifiuti accumulati costituiscono pericolo per la salute pubblica e per i pazienti ricoverati». La raccolta dei rifiuti, ed in particolar modo della frazione secca indifferenziata, è sospesa presso i due presidi ospedalieri dallo scorso 17 gennaio.


BLOCCATA LA TANGENZIALE
. Nuovo blocco contro l'apertura dei siti previsti dal piano per i rifiuti messo a punto dal Commissario Gianni De Gennaro. Per protestare contro la riapertura della discarica in località Cava Riconta, a Villaricca, gli abitanti della cittadina hanno bloccato la tangenziale di Napoli all'altezza dello svincolo di Varcaturo.


GREENPEACE E BASSOLINO.
Manifestazione di Greenpeace davanti alla Regione Campania, il governatore Antonio Bassolino - che aveva appena terminato una riunione col commissario De Gennaro - ha incontrato una delegazione dell'associazione ambientalista, che gli ha consegnato i risultati del progetto "Differenziamoci" e una serie di proposte per la soluzione del problema dei rifiuti.

Il governatore si è complimentato con l'associazione per l'iniziativa, di carattere costruttivo, proponendo a breve un incontro tra Greenpeace e i suoi consulenti locali, Asia, Comune di Napoli e Regione Campania, per confrontarsi sulle possibilità di replicare l'esperimento in modo più stabile anche su altri quartieri napoletani. Arrivando questa mattina davanti alla Regione, Greenpeace aveva portato più di tre quintali di carta, vetro, plastica e altri materiali differenziati, raccolti da cinquanta famiglie di Napoli.


SINDACO NETTURBINO.
A Quarto la protesta di un gruppo di madri ha costretto il sindaco Sauro Secone a improvvisarsi netturbino per consentire la riapertura di alcuni uffici nel comune. Le donne, infatti, dopo aver protestato dinanzi alla scuola rovesciando in strada il contenuto di decine di cassonetti, si sono recate nella sede del comune in via De Nicola e hanno scaraventato nell'ingresso del comune decine di sacchetti di spazzatura inveeendo anche contro alcuni dipendenti comunali.

I rifiuti hanno costretto alla temporanea chiusura degli uffici dell'anagrafe e del protocollo e il sindaco con alcuni consiglieri in attesa dei mezzi e degli uomini della società addetta al servizio, già impegnati, per riaprire gli uffici ha provveduto a rimuovere i sacchetti.


DE GENNARO E IL GIOCO DELL'OCA.
«La Campania non può permettersi il gioco dell'oca, che ti rispedisce alla casella di partenza, ed è fuori discussione la necessità di aprire i siti di stoccaggio e le discariche previste dal piano sui rifiuti». Il commissario straordinario per l'emergenza rifiuti in Campania Gianni De Gennaro parla ad Avellino, intervenendo alla presentazione del nuovo sistema per la raccolta differenziata messo a punto dal Comune.

«Sulla drammatica crisi che stiamo vivendo in Campania, non possiamo permetterci il gioco dell'oca, nel quale capita di tornare alla casella di partenza - ha detto - Ci è imposto come dovere venirne fuori, e sono certo che prevarrà il buon senso». Rivolgendosi indirettamente alle comunità che si oppongono alla realizzazione e alla riapertura delle discariche, De Gennaro ha dunque rilanciato la sua strategia del dialogo.

«Sono consapevole - ha continuato - che la raccolta differenziata rappresenta un tappa, seppure importante nel contesto di un ciclo che non si può interrompere in alcuna sua parte, pena il fallimento. Ridurre i quantitativi di rifiuti quotidiani che vengono prodotti, sicuramente allevia la fase di emergenza che permane, ma è fuori discussione la necessità di aprire al più presto siti di stoccaggio per le ecoballe (l'impianto avellinese del Cdr è fermo perchè intasato, ndr) e discariche che sono stati individuate sul territorio regionale».


Pubblicato il: 30.01.08
Modificato il: 30.01.08 alle ore 17.37

fonte: http://www.unita.it/view.asp?IDcontent=72521

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AMBIENTE. Rifiuti in Campania, Greenpeace presenta a Napoli "Differenziamoci"

30/01/2008 - 16:29


"A munnezza nun è schifezza". Questo uno degli striscioni
sventolati questa mattina da Greenpeace di fronte alla sede della Regione Campania. L'associazione infatti ha consegnato più di tre quintali di carta, vetro, plastica e altri materiali raccolti in modo differenziato da 50 famiglie napoletane che hanno partecipato al progetto "Differenziamoci". Lo riferisce Greenpeace in un comunicato.

Per una settimana Greenpeace ha fornito a un gruppo di cittadini - nel quartiere Colli Aminei - quanto occorre per la raccolta differenziata domiciliare. Tutto è stato organizzato in pochi giorni per dimostrare che questa soluzione, oltre a essere concreta e sana, è conveniente, economica e veloce.

Questi i risultati di "Differenziamoci": in meno di una settimana è stato raggiunto il 73% di raccolta differenziata. Le 50 famiglie coinvolte hanno raccolto 522,6 kg di rifiuti di cui: 140,4 kg di indifferenziato (il 27%), 112,3 kg di carta e cartone (il 21%), 61,7 kg di plastica e metalli (il 12%), 158 kg di umido (il 30%) e 50,2 kg di vetro (il 10%). Da questi rifiuti sarà possibile ottenere: dalla carta, circa un quintale di libri in carta riciclata; dalla plastica, 21 maglie in pile o 8 piumini in pile o 12 vaschette; dai metalli, 2 bici o 8 caffettiere o 2 monopattini; dall'umido, 1 quintale di compost e dal vetro, 200 bottiglie in vetro.

Il presidente della Regione Campania, Antonio Bassolino si è complimentato con l'associazione per l'iniziativa, di carattere costruttivo, proponendo a breve un incontro tra Greenpeace, Achab Group, Asia, Comune di Napoli e Regione Campania, nel quale si potra' discutere come replicare l'esperimento di Greenpeace in modo più stabile anche su altri quartieri napoletani.

"Dove è stata avviata - ha spiegato la responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace, Vittoria Polidori - la raccolta differenziata domiciliare ha dato risultati importanti nel giro di pochi mesi, mentre il commissariamento dura da quindici anni. Negli oltre cento Comuni campani virtuosi, il peso dei rifiuti si è ridotto dei 2/3. Separare l'umido ha diminuito molto l'impatto ambientale oltre alla puzza e alle emissioni di biogas".

Tra le fila degli attivisti di Greenpeace questa mattina era presente anche il comico Lello Arena che ha improvvisato un'arringa verso un finto Bassolino impersonato da un attivista con una grossa maschera. "Avevamo voglia di rimboccarci le maniche, andare giù e dare materialmente una mano. - ha commentato Arena - Spero di fare da apripista ad altri artisti napoletani che vogliano mettersi a disposizione della città per raccontarne i bisogni. Vorrei continuare a fare il mio mestiere sapendo che chi ha il dovere di occuparsi con onestà e serietà di queste cose lo faccia davvero, anche se finora non è successo".

2008 - redattore: LM

fonte: http://www.helpconsumatori.it/news.php?id=16991

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Crisi, l'incarico va a Marini: «Governo a termine per riforme»

Veltroni commenta: «Ce la deve fare»


Marini consultazioni al Quirinale - foto Ansa - 220*186 - 26-01-08


Il presidente Giorgio Napolitano
ha incaricato il presidente del Senato Franco Marini di costituire un governo che porti a termine la riforma della legge elettorale e altre indispensabili riforme costituzionali. «Ho chiesto al presidente del Senato di esplorare la fattibilità di un Governo» che porti a termine queste indispensabili riforme.

È questo l'esito dell'incontro tra il capo dello Stato Giorgio Napolitano e il presidente del Senato Franco Marini. «Ricordo che sciogliere anticipatamente le Camere è la decisione più grave e più impegnativa», puntualizza il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ricordando che in questo caso sarebbe stata una decisione «assunta a meno di due anni» dall'ultimo voto.

Un «impegno gravoso» che cercherà di affrontare nei tempi «più rapidi possibile» e con «determinazione». È questo l'impegno che si è assunto il presidente del Senato Franco Marini dopo che il capo dello Stato Giorgio Napolitano gli ha conferito l'incarico di cercare una maggioranza per formare un governo che riformi la legge elettorale.

«Ringrazio vivamente il presidente della Repubblica - ha detto - per la fiducia che con questa decisione ha voluto accordarmi. So bene che si tratta di un impegno non semplice, anzi gravoso perchè so che nelle attese dei nostri cittadini c'è una attenzione forte alla modifica della legge elettorale».

«Cercherò - ha aggiunto Marini - di stare in tempi i più brevi possibile perché capisco, come ci ha ricordato nella sua dichiarazione il presidente della Repubblica, che i tempi sono stretti».

«Naturalmente - ha concluso il presidente del Senato - essendo il lavoro come ho detto gravoso c'è bisogno di farlo seriamente, cercherò di trovare il punto di equilibrio tra queste due esigenze. Ci metterò in questo compito tutta la mia determinazione in questi giorni che ho di fronte». L'ipotesi di un incarico a Marini per un governo istituzionale in grado di modificare le regole di voto, del resto, era molto accreditata fin da martedì sera, dopo il faccia a faccia riservato tra lo stesso Marini e il vice premier dimissionario Massimo D'Alema, con il compito - evidentemente - di sgombrare il campo dalle ultime remore del presidente del Senato ad accettare la guida di un esecutivo a termine.

L'Ufficio stampa del Senato comunica che le consultazioni del Presidente del Senato Franco Marini avranno inizio giovedì 31 gennaio alle ore 16 a Palazzo Giustiniani.

«Io credo che ce la debba fare». Così Walter Veltroni, leader del Pd, intervistato dal Tg1 risponde quando gli viene chiesto se pensa che il presidente Marini ce la possa fare nell'incarico che gli è stato affidato
dal Capo dello Stato.

«A Marini diremo che ci sono due possibilità - continua Veltroni - o si fa un governo fino ad aprile del prossimo anno- spiega- che faccia le riforme istituzionali, oppure ai va al voto a giugno di quest'anno, ma facendo prima tre cose». Si dovrebbe secondo Veltroni, entro giungo «fare la riforma della legge elettorale, aumentare i salari sostenendo la produttività e riformare i costi della politica. Così - conclude Veltroni- si potrà andare a votare a giugno e gli italiani saranno in grado di scegliere da chi essere governati».

Il Presidente del Consiglio dimissionario Romano Prodi ha formulato, nell'incontro di Palazzo Chigi, i suoi auguri al Presidente incaricato Franco Marini garantendogli «il massimo sostegno».

Berlusconi chiude subito la porta. «Non c'è nessun margine per dialogare sulla legge elettorale». Così Silvio Berlusconi, al termine dell'incontro con il leader dell'Udsc, Pier Ferdinando Casini, risponde ai giornalisti che gli domandano se esistano o meno spazi di dialogo per fare la legge elettorale. Per Berlusconi: «Non si può perdere tempo, bisogna andare al voto».

Al termine di un incontro con Casini, Fi e Udc si sono detti concordi nel dar vita ad una legislatura costituente per realizzare le riforme. Il presidente di Fi Silvio Berlusconi e il leader dei centristi, Pier Ferdinando Casini, si legge in un comunicato, «sono d'accordo sul fatto che la prossima dovrà essere una legislatura costituente: si dovrà quindi, non solo migliorare la legge elettorale, ma anche il federalismo riequilibrare i rapporti tra governo e Parlamento, fra potere giudiziario e legislativo».

Lo stesso Casini in seguito ha commentato: «Certamente la missione di Marini è molto
difficile anche se di impossibile in assoluto non c'è nulla: i margini si sono assottigliati». «Credo che Napolitano abbia fatto il suo dovere - ha proseguito Casini - nessun capo dello Stato può sciogliere le Camere dopo solo un anno e mezzo. È stato doveroso da parte sua dare un incarico».

Casini tuttavia ha ribadito di essere «disponibile al tedesco ma «se pensate che il signor Casini voti con Diliberto, Pecoraro e il Prc vi sbagliate: non posso impazzire all'improvviso e passare come il peggiore dei trasformisti». Infine l'ex presidente della Camera ha ricordato che un'intesa sulla riforma elettorale non può prescindere da Forza Italia: «È stato Veltroni ad insegnarmi che la legge elettorale non si fa senza Berlusconi», ha detto sventolando l'articolo di un giornale di qualche settimana fa.

Il disegno di Napolitano piace alle forze sociali, a cominciare dal presidente della Confindustria Montezemolo per finire con il segretario della Cisl Bonanni. È gradito alla Conferenza Episcopale.

Il Pdci non voterà alcun governo istituzionale perchè fuori dal governo Prodi e dalla maggioranza di centrosinistra rimane soltanto il voto: parola di Manuela Palermi, capogruppo del Pdci al Senato. Capitolo a parte è quello dell'Udc. Pierferdinando Casini tra grandi slalom alla fine si è espresso contro qualsiasi «governicchio», riallineandosi agli altri leader della vecchia Casa delle Libertà in previsione di un possibile voto anticipato con relativa necessità di alleanza elettorale per ottenere il decisivo premio di maggioranza. Ma ha anche lasciato a Mario Baccini la responsabilità di lasciare una porta aperta alle forze cattoliche impegnate nel tentativo di coagulare la cosiddetta "Cosa bianca".

Savino Pezzotta con il suo Forum Famiglie ne è il portabandiera e ha naturalmente raccolto l'invito della Conferenza Episcopale - che non ha perso occasione di dare indicazioni politiche anche sulla crisi di governo - di fare prima la nuova legge elettorale.


Pubblicato il: 30.01.08
Modificato il: 30.01.08 alle ore 21.01

fonte: http://www.unita.it/view.asp?idContent=72520

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Sinistra: che fare?









Diliberto a Repubblica: Una lista unitaria a sinistra? Sono pronto, ma non rinuncio a falce e martello

Roma 27 gennaio 2008

«L’ho detto al capo dello Stato: il ritorno al Mattarellum è la soluzione giusta per la legge elettorale, senza bisogno di pasticci».


Napolitano che ha risposto, onorevole Diliberto?

«Ne ha preso atto. Ovviamente, le riflessioni il capo dello Stato se le tiene per sé».


Le sue personali impressioni, invece?

«Che alla fine non si vota. Mi batterò per impedire la nascita di un governo istituzionale e per andare subito alle urne ma i poteri forti sono tutti schierati per l’inciucio. Non è poco».


Veramente lo chiedono anche i suoi alleati nella Cosa rossa, Prc e Sd.

«Purtroppo, sono finiti in sintonia con Montezemolo. Rompendo un tabù per la sinistra. Togliatti diceva: "I governi tecnici sono i peggiori di tutti i governi reazionari". Perché si presentano con una faccia asettica, fingendo neutralità».


Invece?

«Invece, appunto, sono i peggiori. Chi entrerebbe nel governo istituzionale? Le forze della vecchia maggioranza di centrosinistra, traditori compresi, più l`Udc. Il partito di Casini e di Cuffaro. Il popolo della sinistra non lo perdonerebbe. C’è un limite alla decenza».


Parla sempre di Rifondazione, che chiede un governo "di scopo”?

«Rivolgo un accorato appello ai compagni: ripensateci. E’ un gravissimo errore. Non illudetevi, non serve affatto a far decantare il clima: la volta scorsa, dopo la caduta di Berlusconi, a Palazzo Chigi andarono D’Alema e Amato. Ma le elezioni nel 2001 le vinse lo stesso il Cavaliere».


Franco Giordano l’accusa di giochi spericolati, di muoversi fra Ferrando e Parisi...

«Se avessi voglia di far polemica risponderei che, se è per questo, lui vuole perfino mettersi d’accordo con Berlusconi sulla bozza Bianco. Ma non ne ho voglia. Dico solo che io punto ad un bipolarismo nel quale la sinistra ha il problema del governo e non la mistica dell’opposizione. Con la teoria delle mani libere saremo perdenti per i prossimi 50 anni».


Ma il Pdci ci sarà o no nella lista della sinistra, quale che sia la legge elettorale?

«Non dipende mica dal modello elettorale, il nodo vero sono i contenuti politici. Se nasce un governo istituzionale con pezzi della sinistra dentro, sarà un bel problema. Se andiamo subito al voto, prontissimo alla lista unitaria».


Rinunciando alla falce e martello.

«Eh no, io il mio simbolo me lo tengo e lo custodisco per benino. Nel mio partito anzitutto, visto anche che stiamo per trasferirci in una sede molto prestigiosa. Ma anche nel logo elettorale deve esserci spazio per la falce e martello. Questione di riconoscibilità, nello stesso interesse dell’affermazione della lista».


E quindi ricomincerà la guerra grafica con verdi e Sd.

«No, non credo. Ho l’impressione che l’abbiano capito»

... come ha ribadito molto chiaramente anche ieri sera a Ballarò. Nessun corteggiamento alla Finocchiaro ed al PD, anzi (altrimenti sul conflitto di interessi avrebbe glissato). Ma il tentativo di tenere comunque unita la sinistra, anzi di unirla, va fatto.

E poi quello che ho veramente apprezzato è stato il non voler cadere nelle profezie autoavverantisi del cavaliere e di troppi anche a sinistra.

Ma chi l'ha detto, che abbiamo già perso? Almeno proviamoci!

Lo speciale di Ballarò, 23 gennaio 2008








Ne abbiamo già parlato qui: http://solleviamoci.blogspot.com/2008/01/non-ci-sto.html
ma ricevo oggi un articolo illuminante dall’impagabile Baro… e lo pubblico integralmente.

Perché la memoria o è obiettiva o non serve che a pochi… e siccome in questi giorni qualcuno rispolvera la marcia su Roma, cominciamo a fare chiarezza, invece che il solito revisionismo.


La notte più in là senza revisionismi
Enrico Campofreda
24 gennaio 2008

Fa male sentire che l'umano e profondo dolore che ha segnato le vite di orfani di vittime della lotta armata di fine Settanta prenda, pur negandolo, la via d'un'univoca rivisitazione di quegli anni com'è accaduto ieri sera su Rai Tre. La lettura in diretta di copiosi passi del libro di Mario Calabresi ''Spingendo la notte più in là'' ha offerto un sensibile spaccato di emozioni, immagini, sentimenti e sentimentalismi assolutamente personali e rispettabili, vissuti, nella bellezza e in un malessere a volte compassato altre straziante. Ma ha al tempo ricevuto una banalizzazione nell'operazione politica di utilizzare quel testo ben oltre la stessa giornata della memoria delle vittime del terrorismo già istituita nei mesi scorsi. Non sappiamo se le intenzioni del pacato Calabresi junior e di chi utilizza quei suoi ricordi emotivo-esistenziali vadano oltre la rivendicazione d'uno spazio pubblico nel nome dei propri cari richiesto più volte e a più voci.

Pensiamo che si dovrebbero scindere i due aspetti. L'elaborazione del lutto è questione privata e personale; collettivo e civile può essere il ricordo di periodi della storia politica ma attraverso una lettura né emotiva né di parte. E nella trasmissione di Floris questo distinguo non c'era. Si puntava a dare un'immagine dei Settanta basato sul dolore individuale del proprio vissuto. Partendo dall'omicidio Calabresi che - qualsiasi commentatore politico e lo stesso figlio Mario, oggi affermato giornalista de 'La Repubblica' dovrebbero sapere - non ha nulla a che vedere con la pratica dell'omicidio politico teorizzato nella seconda metà dei Settanta da Br e consimili. Solo la cattiva coscienza di chi fa presunta informazione come Giuliano Ferrara, praticando invece quell'aggressione e demonizzazione dell'avversario rinfacciata ad altri, può lanciare anatemi su quegli anni. Facendo finta di non conoscere un passato che appartiene anche al suo dna.

Dunque i Settanta, anni di passione e violenza, non furono solo questo. Furono lunghi attimi di speranza e di lotta e la deriva e il vicolo cieco dell'eliminazione fisica di avversari veri o presunti praticata dal 'partito armato' - strada sciagurata e improduttiva per quella classe che si voleva orientare a un rovesciamento dello Stato borghese - furono una deriva, non l'unica anima d'un periodo articolato e complesso. La trasmissione della Rai, che ospitava alcuni figli di servitori dello Stato le cui esistenze hanno subìto traumi sicuramente irreparabili e duraturi, sceglieva la scorciatoia d'uno spicciolo revisionismo. Fatto di confusione, pressappochismi, illazioni come affermare che chi sparava al commissario Calabresi era un potenziale terrorista e magari iniziava nel maggio '72 a praticare la lotta armata. Non si mescolano i sentimenti con la storia. E Calabresi, Tobagi, Alessandrini juniores risultavano emozionati e in certi passi impossibilitati al distacco. Parevano non comprendere che gli assassini dei padri erano ormai liberi e intervistati in tivù perché questo avevano deciso leggi d'uno Stato tanto difeso dai loro genitori.

Né il conduttore né un giornalista navigato come Ezio Mauro ricordavano che all'epoca c'era un'Italia fatta di movimenti d'opposizione ad ampia base proletaria - non erano solo gli studenti borghesi a manifestare - contro cui vennero scagliate la strategia della tensione e l'omicidio fascista. Sugli schermi passavano senza commento le immagini delle stragi, senza ricordare quelle vittime, né gli effetti di leggi liberticide come la Reale che diedero vita a un omicidio generalizzato da parte delle Forze dell'Ordine per le strade d'Italia, ben prima che montasse l'azione omicida dei gruppi armati. Insomma per ricordare la notte della Repubblica, spingerla più in là e magari vederla scomparire non serve revisionare l'accaduto. In vari casi i parenti delle vittime dello stragismo e di militanti politici uccisi in quegli anni non conoscono neppure i nomi degli assassini e non li hanno visti condannati. Non hanno scritto libri o se qualcuno l'ha fatto non ha pari diffusione e attenzione, hanno avuto vite spesso meno note e altrettanto dolorose. E non compiono un'elaborazione del lutto televisiva.

all'insaputa di:

http://www.reti-invisibili.net/giuseppepinelli/articles/art_13217.html



Immigrati stagionali al Sud, il rapporto MSF: "Vita di inferno"

di ALESSIA MANFREDI


Foto di Lorenzo Maccotta per MSF


ROMA
- Condizioni di lavoro estreme, senza alcuna tutela. Giornate infinite che iniziano quando è ancora notte e finiscono in luoghi squallidi, in condizioni igieniche più che precarie. Assistenza medica inesistente, paghe da fame. Una vita da paria, socialmente nulla. E se si prova a protestare, botte. Punizioni esemplari, per educare anche gli altri. Un inferno, insomma: è così, senza troppi giri di parole, che Medici Senza Frontiere definisce la condizione degli immigrati stagionali che lavorano nel sud Italia nell'agricoltura.


GUARDA LA GALLERIA FOTOGRAFICA


REPUBBLICA TV: IL VIDEO DALL'INFERNO



Un'
inchiesta di Fabrizio Gatti per l'Espresso aveva già portato alla luce questo inferno, svelandolo in tutti i suoi dettagli. Oggi il rapporto presentato dalla missione italiana dell'organizzazione umanitaria internazionale di soccorso medico dà un quadro altrettando oscuro, disperante, in cui rispetto all'indagine-denuncia analoga di quattro anni fa, non è cambiato quasi nulla.

Da luglio a novembre, un'équipe itinerante di MSF ha condotto un'analisi sulle condizioni di salute, di vita e di lavoro degli stranieri impiegati come stagionali per la raccolta della frutta e della verdura nelle regioni meridionali. Seicento questionari compilati per realtà diverse, ma sempre uguali: dalla piana del Sele al Foggiano, dalla Valle del Belice alla piana di Gioia Tauro.

La fotografia che emerge è di totale sfruttamento: il 90 per cento del campione intervistato non ha un contratto di lavoro e quindi nessuna tutela giuridica per retribuzione, infortuni o previdenza. Lavora in media quattro giorni a settimana per otto-dieci ore al giorno. La metà guadagna tra i 26 e i 40 euro al giorno, ma un terzo 25 euro o anche meno. Il che significa, ad esempio nel foggiano, che la paga per raccogliere un cassone di pomodori da 350 chili è di quattro-sei euro, cui va tolta poi la "tara" di tre-cinque euro giornalieri destinati ai caporali.

Si accetta per non morire di fame, perché alternative non ne esistono. E se una spinta viene dalla speranza di mandare soldi alla famiglia rimasta nel proprio paese d'origine - soprattutto Africa subsahariana, Maghreb, Sud-Est Asiatico, Bulgaria e Romania - il sogno si infrange per il 38 per cento degli intervistati, che non riesce a mettere da parte neppure un euro. "Una situazione drammatica e vergognosa per uno stato di diritto e membro dell'Unione Europea, su cui il silenzio è assordante" commenta Antonio Virgilio, responsabile dei progetti italiani di Medici Senza Frontiere.

Questo esercito silenzioso di schiavi - il 97 per cento sono uomini e hanno tra i 20 e i 40 anni, rarissime le donne - si muove nell'ombra. Il 72 per cento non ha permesso di soggiorno, vive ai margini e in maggioranza si sposta seguendo le stagioni della raccolta. Finita la giornata, la sera si rifugia in squallidi tuguri, soprattutto strutture abbandonate, il 5 per cento addirittura per strada. Il 62 per cento delle sistemazioni non ha servizi igienici, nel 64 per cento manca l'acqua. La quasi totalità non ha riscaldamento. Non solo. Sono sempre più frequenti gli episodi di intolleranza e violenza, denunciati dal 16 per cento degli intervistati.

Gli stagionali fantasma arrivano in Italia in buone condizioni fisiche ma in molti poi si ammalano: per il 72 per cento dei lavoratori visitati da MSF è stato formulato un sospetto diagnostico che poi nel 73 per cento dei casi è risultato in una malattia cronica: patologie osteomuscolari, associate a movimenti ripetitivi e al sollevamento di pesi (22 per cento), o malattie dermatologiche (15 per cento) frequenti in condizioni di scarsa igiene, sovraffollamento e nel lavoro in campagna, in cui si viene a contatto con agenti irritanti e infettivi, che provocano allergie. Poi ci sono le malattie respiratorie (13 per cento) e gastroenteriche (12 per cento), comuni in condizioni di sovraffollamento e di scarsa igiene. E poi carie, patologie del cavo orale, malattie infettive.

Se è vero che la legge garantisce l'accesso alle cure per tutti gli stranieri, regolari e irregolari, la maggioranza non lo sa: il 71 per cento non ha la tessera sanitaria e a distanza di due anni dall'arrivo in Italia, il 59 per cento non ha neppure quella provvisoria, la STP; e il 47 per cento degli immigrati regolari non è iscritto al servizio sanitario nazionale.

Un panorama desolante, che molti ignorano e troppi fanno finta di non vedere, denuncia MSF: dai sindaci alle forze dello stato, dalle associazioni di categoria ai ministeri, agli ispettorati del lavoro, che contribuiscono così a considerare la mostruosità come necessaria per sostenere le economie locali. "Nonostante il cambiamento del panorama politico e le reiterate promesse da parte delle istituzioni nazionali e regionali, MSF non ha potuto riscontrare cambiamenti sostanziali nelle inaccettabili condizioni degli stranieri stagionali" si legge nelle conclusioni del rapporto.

"Non solo non è cambiato nulla" ammette Virgilio. "Le cose sono addirittura peggiorate, come nel caso di Alcamo, in Sicilia, dove, dopo anni di indifferenza sono stati finalmente allestiti centri di accoglienza per gli immigrati, ma solo per quelli regolari, seguendo così una logica di ulteriore discriminazione nella discriminazione, sulla base dello status giuridico". Per MSF quello che serve sono criteri minimi di accoglienza per gli stagionali, per far fronte almeno alle emergenze primarie. Nel frattempo l'inferno continua.

(30 gennaio 2008)

fonte: http://www.repubblica.it/2008/01/sezioni/cronaca/msf-stagionali/msf-stagionali/msf-stagionali.html

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«Bimbi leggete! Vi pago un euro all'ora»




la proposta ha sollevato non poche perplessità. se ne discute sui media spagnoli

Il sindaco del villaggio spagnolo di Noblejas, vicino Toledo: «Venite alla biblioteca comunale»


MADRID
- Un euro all'ora. Sarà questa la "paga" che riceveranno i bambini del villaggio spagnolo di Noblejas. Lo ha deciso il sindaco del paesino vicino Toledo, il socialista Agustin Jimenez Crespo, convinto che questa iniziativa «pioneristica» farà ritrovare e apprezzare ai giovanissimi alunni delle scuole elementari il piacere della lettura.


SCOLARI SOTTO CONTROLLO
- Noblejas è un piccolo comune di appena 3.300 anime a 55 chilometri da Toledo. Guidato da un primo cittadino con idee assai singolari come quella senza precedenti, di offrire un sostegno economico ai genitori che manderanno i loro figli a studiare nella biblioteca comunale. Un euro per ogni ora di studio il "compenso" previsto. Personale qualificato, dice El semanal digital, si occuperà di controllare il tempo che gli scolari trascorreranno effettivamente all'interno della biblioteca comunale. La proposta ha scatenato non poche perplessità e su molti media spagnoli online la questione è al centro di ampi dibattiti.

GENITORI-FIGLI - «Si tratta - ha detto il sindaco - di un'iniziativa pioneristica e ambiziosa che in materia di formazione». Oltre che "insegnare" il piacere e l'importanza della lettura, ulteriore obiettivo dell'iniziativa, ha aggiunto Agustin Jimenez Crespo - è quello di «rinforzare il ruolo attivo dei genitori nell'educazione dei loro figli».


30 gennaio 2008

fonte: http://www.corriere.it/cronache/08_gennaio_30/spagna_lettura_pagata_d82826c8-cf30-11dc-8e3f-0003ba99c667.shtml

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Processo Sme, Berlusconi assolto



Udienza lampo di appena 15 minuti, l'accusa aveva chiesto la prescrizione
La depenalizzazione era stata varata dal governo presieduto dall'imputato

"Il falso in bilancio non è più reato"


MILANO -
"Il fatti non sono più previsti dalla legge come reato". Con questa formula i giudici della I sezione penale del Tribunale di Milano hanno prosciolto Silvio Berlusconi dall'accusa di falso in bilancio nell'ultimo stralcio di procedimento nato con il caso-Sme. Gli episodi contestati all'ex premier, infatti, risalivano alla fine degli anni Ottanta.

All'inizio dell'udienza, durata meno di un quarto d'ora, l'accusa aveva chiesto la prescrizione, mentre la difesa aveva sollecitato i giudici ad un verdetto di proscioglimento perché i fatti non costituiscono più reato. Era stato, infatti, proprio durante il governo Berlusconi che il falso in bilancio era stato derubricato. Una interpretazione, quest'ultima, che è stata accolta dai giudici.

I fatti contestati all'ex premier risalivano al periodo che va dal 1986 al 1989, e, quindi, sarebbe comunque state coperti dalla prescrizione. I giudici, come detto, hanno però deciso di prosciogliere Berlusconi perché il fatto non è più previsto come reato, invece che dichiarare la prescrizione, come richiesto dal pm Ilda Boccassini. Il procedimento in cui Berlusconi era imputato di falso in bilancio era stato stralciato dal troncone principale del processo Sme, in quanto i giudici avevano investito la Corte europea affinché valutasse la congruità della normativa italiana sul falso in bilancio con le direttive comunitarie.

La Corte europea aveva deciso però di non entrare nel merito delle leggi in vigore nei singoli Paesi. "Dopo sei anni è stata pronunciata una sentenza che il Tribunale e la Procura avevano cercato in ogni modo di evitare rivolgendosi addirittura alla Corte di Giustizia europea", ha commentato l'avvocato Nicolò Ghedini, difensore insieme al collega Gaetano Pecorella di Silvio Berlusconi.

La legge che depenalizza il falso in bilancio è stata una delle prime cosiddette "leggi ad personam" approvate dal passato governo Berlusconi. Il provvedimento è diventato infatti operativo già dal gennaio 2002 grazie a un decreto varato a tempo di record dall'allora ministro della Giustizia Roberto Castelli. "Le fattispecie di minore gravità del falso in bilancio - spiegava il Guardasigilli - sono state depenalizzate e saranno punite con sanzioni amministrative in linea con l'attuale tendenza a limitare ai casi realmente gravi l'intervento penale".

Lo scorso ottobre la Cassazione aveva chiuso definitivamente un altro troncone del procedimento Sme a carico di Silvio Berlusconi assolvendolo dalle accuse di corruzione nell'intricata vicenda della vendita del comparto agro-alimentare dell'Iri alla Cir, la finanziaria di Carlo De Benedetti. La posizione del leader di Forza Italia era stata stralciata da quella degli altri sei imputati, compresi il senatore Cesare Previti e il giudice Squillante, in seguito all'approvazione del "Lodo Schifani", un'altra delle cosiddette "leggi ad personam" (successivamente dichiarata incostituzionale) che introduceva l'immunita per le cinque più alte cariche dello Stato.

(30 gennaio 2008)

fonte:

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"L'Italia in depressione canta un'aria di scontento"


"L'Italia in depressione canta un'aria di scontento" scrive il New York Times. Statistiche alla mano sui singoli settori è facile provare che la situazione nel nostro Paese non è diversa da altre nazioni, anzi.....

In concomitanza con la visita americana del presidente Napolitano, uno dei migliori inviati del New York Times pubblica un articolo che non rende giustizia al nostro Paese.


ECONOMIA E FINANZA


17/12/2007


di Stefano Rizzo

Ian Fisher è uno dei migliori corrispondenti del "New York Times" e dell' "International Herald Tribune" dall'Italia. A differenza dei suoi colleghi Elisabetta Povoledo e Peter Kiefer, che tendono a compiacere il gusto del pubblico americano (e anglofono) per gli aspetti di colore della vita italiana, i suoi articoli sono analisi politiche ed economiche intelligenti che aiutano anche noi a vederci meglio attraverso gli occhi degli altri.

Ieri, in coincidenza con la visita negli Stati Uniti del presidente Napolitano, Fisher ha pubblicato un articolo sul "New York Times" dal titolo "L'Italia in depressione canta un'aria di scontento". Bel titolo e lungo articolo per raccontare che gli italiani sono scontenti del loro paese, della loro politica, della loro economia. E fin qui tutto bene: è assolutamente vero. Meno vere e meno sostanziate dalle cifre sono le considerazioni su "declino" dell'Italia, come sistema economico, sociale e politico. Intendiamoci, le cose non vanno bene in questo paese, ma vanno peggio di dieci, venti o trenta anni fa? E, soprattutto, visto che tutto è relativo, vanno peggio rispetto ad altri paesi? Quanto peggio?

Qui i dati aiuterebbero a mettere le cose in prospettiva e ad uscire dagli stereotipi di cui il giornalismo straniero, quando parla dell'Italia, è infarcito. Vale per tutti, per l'Italia, la Francia, la Germania, l'Inghilterra. E ancora di più per luoghi "lontani" o "esotici" come l'India, la Cina, l'America latina. In questo i corrispondenti non sono molto diversi dall'uomo comune cui si rivolgono, che ragiona sulla base di poche semplici idee acquisite, e spesso sbagliate: i messicani col sombrero, i tedeschi con l'elmetto, gli italiani che cantano o sole mio, i cinesi un po' misteriosi e pericolosi, i britannici compassati. (Ogni tanto succede qualcosa, ad esempio muore Diana di Inghilterra e ci si accorge che gli inglesi non sono affatto compassati, ma poi si ritorna al comodo stereotipo).

Neppure Ian Fisher sfugge agli stereotipi. L'incipit del suo articolo è sul buon cibo italiano e subito dopo sul fatto che "davanti ad un semaforo rosso la gente ancora dibatte su cosa voglia dire". Ora, se si volesse parlare seriamente di sicurezza stradale (che è un problema serissimo), piuttosto che indulgere sulla "disordinata creatività" del popolo italiano bisognerebbe citare i dati, ad esempio che i morti sulla strada in Italia sono più o meno gli stessi della Francia e della Germania (intorno a 10 per miliardo di chilometri/auto) e un terzo di meno del Belgio (paese solitamente considerato meno "creativo").

Se si volesse parlare seriamente di economia, più che del fatto che nel 1987 l'Italia aveva un PIL superiore alla Gran Bretagna (il che era un vanto per Bettino Craxi, ma aveva scarso significato), bisognerebbe ricordare che parliamo sempre della ottava potenza economica del mondo, con un PIL pro capite di 30.200 dollari, vicinissimo a quello francese (31.200 dollari - CIA Factbook, 2007), un PIL che evidentemente non è fatto soltanto da "Ferrari, Ducati, Gucci, Illy", come dice Fisher.

Se si volesse veramente parlare di criminalità (Fisher cita Gomorra di Saviano), oltre a ricordare il drammatico fenomeno della criminalità organizzata, bisognerebbe anche citare i dati ufficiali delle Nazioni unite e dell'Unione europea secondo i quali l'Italia è agli ultimi posti in Europa (e nel mondo) per omicidi, rapine, stupri, ed è sotto la media per furti e corruzione. Fisher avrà letto la settimana scorsa sul suo giornale che il 3,2 per cento degli adulti americani è in carcere o in libertà vigilata (6,8 milioni), mentre in Italia i detenuti sono meno di 60.000 (a parità di percentuale dovrebbero essere almeno un milione).

Se si volesse parlare di società bisognerebbe ricordare che l'OMS ha classificato il sistema sanitario italiano il secondo migliore al mondo (dopo quello francese), che gli italiani soffrono di minori patologie, vivono più a lungo, sono meno obesi di molti altri europei e certamente degli americani. Se si volesse seriamente parlare di che cosa significa per la società l'attaccamento, più o meno forzato, dei giovani alla famiglia (di cui il rimanere troppo a lungo a casa è solo una parte), bisognerebbe domandarsi quali correlazioni ci sono tra questo fenomeno e la relativa assenza in Italia delle bande giovanili violente presenti nelle banlieu parigine e nelle periferie delle grandi metropoli europee (per non parlare delle gang delle città americane).

Ancora, quando si parla di corruzione nella politica gioverebbe mettere il fenomeno in prospettiva e ricordare, ad esempio, che in questo momento un ex presidente francese (Chirac) e un ex primo ministro (De Villepin) sono inquisiti per gravi reati, di cui la corruzione è il meno grave. E quanto al discredito del parlamento presso gli italiani (secondo Fisher al 36 per cento), varrebbe la pena ricordare che negli Stati Uniti quella percentuale è ancora inferiore (29 per cento).

Vogliamo parlare di sistema politico? Certamente in Italia abbiamo un unicum: Berlusconi; certamente il centrosinistra è diviso e litigioso. Certamente le cose così non possono andare avanti. Ma che dire degli Stati Uniti dove da due anni il Congresso, ad esile maggioranza democratica, è paralizzato perché qualunque provvedimento di rilievo viene bloccato dall'ostruzionismo della minoranza repubblicana e, se non basta, dal veto presidenziale? Una situazione che è destinata a durare almeno un altro anno, ammesso che le elezioni presidenziali vengano vinte da un democratico. E' vero, come dice Fisher, che in Italia oggi la Chiesa cattolica si è trasformata "da influenza culturale in lobby politica", ma che dire di un sistema politico come quello americano in cui, oggi, la religiosità conclamata dei candidati è condizione sine qua non per essere eletti? Al punto che un osservatore attento come Roger Cohen (sempre sul "New York Times") ha parlato di una deriva pre-illuministica degli Stati Uniti che li sta allontanando dalla cultura europea e occidentale.

Tutto questo non per dire che le cose vadano al meglio in Italia e malissimo negli Stati Uniti o altrove, ma per ribadire che le grandi generalizzazioni e le pennellate impressionistiche possono andare bene per un libro di viaggi, ma aiutano poco a capire i fenomeni sociali nella loro complessità. Se si guarda ai dati e ai processi di trasformazione al di là degli stereotipi, si vede che le società industrializzate dell'Occidente sono, nel bene e nel male, molto più simili di quanto non sembri. E che il "malessere" di cui parla Fisher con riferimento all'Italia, cioè l'incertezza e la paura di fronte ai cambiamenti provocati dall'immigrazione, dalla tecnologia, dalla globalizzazione, dalla curva decrescente del reddito, sono diffusi un po' dappertutto. Certo, guardare i dati e basare su di essi le proprie considerazioni può essere noioso per un articolo di giornale. Ma chi l'ha detto che i giornalisti debbano essere divertenti?

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